sabato 19 agosto 2017

Cad. Burke - Fate della Liturgia il centro della vostra vita!


La seguente intervista è tratta dal periodico “Informationsblatt”edizione Agosto/Settembre 2017 della Fraternità Sacerdotale di S. Pietro e tradotta in italiano per questo blog. Ringraziamo P. Gerstle FSSP, responsabile del distretto tedesco e P. Sven Conrad FSSP, autore dell'intervista per il permesso alla pubblicazione e la revisione del contenuto. Le immagini nel PDF sono state opacizzate per "motivi legali" come riportato nel sito della FSSP.

Fate della Liturgia il centro della vostra vita!”

Nella ricorrenza del Sacratissimo Sangue S.E. Raymond Leo Card. Burke ha consacrato sacerdoti sette diaconi della nostra confraternita, S. Pietro. La solenne cerimonia ha avuto luogo nella chiesa parrocchiale di Lindenberg, gremita di fedeli. Il nostro seminario si sente molto onorato dalla visita del Cardinale: abbiamo colto questa occasione per un'intervista.

Ci incontriamo con un uomo assai devoto, un canonista di fama mondiale e, non ultimo, un vescovo che da diversi anni, a varii livelli, si spende per la promozione della Liturgia della Tradizione.

Eminenza, com'era la vita cristiana negli Stati Uniti, ai tempi della sua infanzia?

Ora, io provengo da una zona di campagna profonda degli Stati Uniti, ma credo che ciò che vissi allora fosse assai tipico per le diverse regioni del paese. Il centro incontestabile della nostra vita di cattolici era la Messa domenicale. C'erano anche altre devozioni il venerdì sera, conoscevamo l'adorazione della Madre dei Dolori, la confessione al sabato e la preghiera in famiglia. In casa nostra compimmo l'Intronizzazione del Sacro Cuore di Gesù e pregavamo prima e dopo i pasti.
Ma c'era un'intera cultura cristiana nella nazione. Anche se gli Stati Uniti sono soprattutto una terra protestante, pur tuttavia venivamo sostenuti nella fede anche da quello che facevano altri cristiani. Pregavano e andavano in chiesa. Il cattolicesimo aveva un'identità molto precisa e poiché eravamo una minoranza, credo che ci preoccupassimo più del solito di praticarlo. Avevamo anche scuole cattoliche. Lavoravano molto in contatto coi genitori, per garantire l'educazione cattolica dei figli. Naturalmente, non era una società perfetta, ma aveva molti begli aspetti, per i quali sarò sempre grato.

In che modo poi questo cambiò?

Entrai in seminario nel 1962, a 14 anni. La cultura appena descritta era ancora assai viva e il piccolo seminario fu per me una bella esperienza. La sacra Liturgia rappresentava un punto chiave molto importante. Studiavamo la nostra Fede e ricevemmo un'istruzione classica. Poi però, alla metà degli anni '60 e marcatamente dopo il Concilio, si manifestò quella che alcuni hanno chiamato l'”ermenutica del sospetto” o “della rottura”: tutte le cose con cui eravamo cresciuti e che sapevamo essere molto belle, furono messe in dubbio. E così vidi, semplicemente, crollare tutto attorno a me.
La riforma del rito della Messa fu forse l'evento più incisivo. Fu privato di così tanti elementi. Siccome ero cresciuto come chierichetto, ero assai sensibile alle varie parti della Messa e vedere tutto sparire così, da un giorno all'altro... Fu un ribaltamento radicale, particolarmente grave riguardo alla fede nell'Eucaristia. Si poteva vedere già solo dalla trascuratezza con cui le persone andavano alla comunione, che la gente aveva perso la fede nella S. Eucaristia. Inoltre fu abbandonata la confessione regolare, il che pure indebolì la nostra fede nell'Eucaristia.

Tutto ciò accadde, di fatto, nell'arco di pochissimi anni e fu devastante.

Una volta affermaste che la vostra generazione ha considerato una buona pratica di fede come troppo scontata.

Avevamo tutta questa ricchezza della vita cattolica, che ci era stata donata in abbondanza. Semplicemente, c'era. Non ci si doveva sforzare per essa e credo che abbiamo dato tutto questo troppo per scontato e troppo poco stimato. Ora vedo la generazione più giovane: ha fame di tutti questi aspetti della nostra Fede, lo si nota anche dall'interesse enorme per la forma straordinaria del Rito Romano. Ha fame di quella ricchezza, che noi da giovani abbiamo conosciuto e non preservato. Per questo la mia generazione dovrebbe più che mai comprendere questi giovani e quello che cercano.

Ho un grande problema col fatto che alcuni della mia generazione si oppongono alla restaurazione della pietà della forma della Messa e degli altri riti sacri.

Siete mai entrato in contatto col Movimento Liturgico? Come lo giudicate oggi?

C'era un entusiasmo, del quale però bisogna dire questo: mi pare che molte pratiche furono introdotte nei seminarii per giustificare cose che secondo me andavano al di là delle idee dei fondatori del Movimento Liturgico e che dunque essi non si erano prefissi. Con questo non voglio dire che sia infondata l'ipotesi, che forse in tutto questo movimento ci fosse qualcosa di sbagliato. Però mi ricordo di Msgr. Martin Hellriegel dell'arcidiocesi di St. Louis e di un vescovo, entrambi assai coinvolti nel movimento liturgico: già agli inizii degli anni '70 erano completamente disillusi da quel che succedeva. Credo che almeno alcuni si accorsero che le riforme del rito sacro non erano fedeli alla tradizione, sebbene approvate dalla S. Sede. In sostanza: allora ne sentimmo parlare, ma io ero un ragazzino e non ne sapevo molto. Eravamo entusiasti perché amavamo la Liturgia e tutto quello che la favoriva sembrava buono.

Pareva assai bello, ci entusiasmava, ma all'improvviso ci rendemmo conto che aveva portato frutti cattivi.

Lo notaste già allora?

Sì, già allora.

Perché il cattolicesimo tradizionale divenne così debole negli anni '60?

Ci ho riflettuto molto spesso e mi pare, anche se non ho mai studiato compiutamente la questione, che già sotto Pio XII ci fossero movimenti e cose simili, riguardo alla Liturgia, che avevano verso di essa un approccio riduzionistico. Devo anche presumere che nei seminarii e altrove ci fu un indebolimento dell'istruzione sacerdotale, che rese i seminaristi inclini aigli abusi del periodo postconciliare.
Una cose che notai è che i sacerdoti, fino al Concilio, erano molto rigidi riguardo alla Liturgia. Mi ricordo che una volta, da chierichetto, sfiorai il calice durante la purificazione: dopo la Messa il prete mi fece una lavata di capo, che ero stato disattento e che il calice è un vaso sacro, che contiene il Sangue di Cristo, il che naturalmente è vero. Me la presi parecchio a cuore. A questi stessi preti, in precedenza cresciuti in maniera così severa riguardo a queste cose, dissero, dopo il Concilio, che tutto ciò era cambiato. Adesso si poteva usare come calice un bicchiere di vetro o un recipiente di ceramica e alcuni si misero a cuocere il pane eucaristico da soli: per la precisione, non limitandosi a usare solo acqua e farina.
Questi sacerdoti, prima così rigidi [in un senso], divennero rigidi nell'altro, rigidi in rapporto a tutte le innovazioni.Così, se uno voleva fare le cose secondo le prescrizioni, veniva punito o corretto.
Devo ritenere che qualcosa sia andato storto. Forse nei seminarii penetrò in parte il lato non sano del movimento liturgico, così che, in un certo qual modo, i sacerdoti già erano stati male indirizzati rispetto a queste cose.

Può darsi che allora la Messa Tradizionale fosse compresa in senso troppo legalistico?

Sì, devo far notare questo: mi piacciono molto la forma e l'articolazione della Messa Tradizionale, però è vero che, prima della riforma conciliare, alcuni preti non sempre celebrassero in maniera edificante. Si aveva furia. Il latino era a tutti gli effetti inintelligibile, e cose di questo genere. Non dico che questo fosse vero in generale, ma in alcuni casi sì, ed è vero: quando la forma straordinaria, come oggi la chiamiamo, l'usus antiquior, non viene celebrata con reverenza, diventa anch'essa un segno di senso contrario.

Vi siete specializzato in diritto canonico. Diritto canonico e teologia si sono talora allontanati l'uno dall'altra, nel loro sviluppo. Come vedete il loro rapporto?

Non v'è dubbio che nei primi secoli della Chiesa e senz'altro nel medio evo, il diritto canonico fosse una parte della teologia. A un certo punto fu insegnato assieme alla teologia morale e alla liturgia. Tutto questo veniva inteso come un'unica realtà. Poi si sviluppò l'idea delle specializzazioni e il diritto canonico fu separato dalle altre discipline. Da qui è sorto il concetto che si tratti solo di un sistema di norme. Naturalmente lo è, ma si tratta di norme volte a custodire le sante realtà insite nella Chiesa. Detto in altre parole, il senso e il fine di ogni canone e del codice è un determinato aspetto della nostra vita in Cristo e nella Chiesa. Questo purtroppo è andato perduto con la separazione delle discipline. Ci furono però lo stesso grandi canonisti, ancora nel XIX e agli inizii del secolo XX, come il Card. Piero Gasparri o P. Felice Cappello SJ. I commenti da loro redatti mostrano come per esempio un certo canone, in rapporto all'Eucaristia, serva a proteggere la verità su di essa, la sua stessa realtà. La codificazione del diritto ecclesiastico ha avuto di buono il poterlo trovare tutto in un unico tomo. L'aspetto negativo è stato però la separazione delle norme dal loro contesto (lettere pastorali dei concilii, direttive di vescovi), nel quale il fondamento teologico della norma stessa appare con chiarezza. I canonisti devono, oggi più che mai, studiare la storia del diritto e indagare le fonti. Altrimenti il diritto rischia di diventare un formalismo separato dalla teologia.

Oggigiorno il diritto è inteso come un obbligo esterno e posto in opposizione alla carità.

Il diritto garantisce il minimo [essenziale] di una vita cristiana. Non contiene tutta la bellezza della vita della Chiesa nella sua pienezza, ma ne garantisce le fondamenta. I precetti ecclesiastici costituiscono quel minimo che ci indirizza verso una più profonda vita cattolica.

Come può riuscire il rinnovamento teologico?

Credo che il rinnovamento teologico possa avere fortuna se si ritorna all'interpretazione della Scrittura nella Chiesa (cioè nella fedeltà alla Tradizione e al Magistero – n.d.t.), perché la teologia ha la sua radice nella Parola di Dio. Dobbiamo però superare gli aspetti negativi del metodo storico-critico e ricominciare a leggere le Scritture come un tempo: sempre nel contesto dei Misteri della Passione di Cristo, della sua Resurrezione ed Ascensione al Cielo e dell'invio dello Spirito alla Chiesa. Per questo l'accento deve essere posto sullo studio della Patristica. Il Concilio lo fece, ma non ne sento più parlare da nessuno. Infine bisogna che l'attenzione sia rivolta ad autori riconosciuti, che attraverso i secoli si sono dimostrati ligi al Magistero e che ne favoriscono la comprensione e l'approfondimento. Penso ad esempio a S. Tommaso d'Aquino.

Papa Benedetto XVI stabilì dieci anni fa, nel suo Motu Proprio Summorum Pontificum, che la Messa Tradizionale non è mai stata abrogata. Qual è la vostra opinione, come canonista?

Mi interessò parecchio, quando il Papa lo disse. Non ci avevo mai pensato. Al tempo della riforma liturgica ci avevano trasmesso l'impressione che il vecchio Messale non venisse più usato. Poi però, nel corso degli anni, capii che in parecchi luoghi lo era ancora. Ad esempio conosciamo il caso di Fontgombault e ci fu la famosa “dispensa di Agatha Christie” per i cattolici inglesi. È poi un fatto, che non c'era motivo per un'abrogazione. Per questo ritengo che il Papa abbia ragione dal punto di vista canonico. Non ho sono riuscito a studiare la questione compiutamente, ma spero un giorno di poterlo fare, perché ci sono ancora certi che affermano che quel Messale sia stato abrogato.
Di certo questa non fu l'intenzione del prefetto della Congregazione per il Culto Divino di allora.

Conosco un'abate benedettino, il quale mi riferì che dissero al prefetto che la nuova forma della Messa fosse un'espressione non conveniente della vita del loro ordine, ed egli rispose: “Continuate a celebrare la Messa come avete sempre fatto.”

Anche da un altro punto di vista: se si considera che l'impianto di base della Messa è rimasto sostanzialmente invariato dai tempi di Gregorio Magno... come si può dire, che questo sia oggi vietato? Non mi è chiaro per niente.

Come spieghereste ai fedeli che Papa Benedetto XVI parli di “due forme dell'unico Rito Romano”?

Questa affermazione va compresa, ritengo, nel senso della Tradizione. La nostra vita di preghiera nella Chiesa, come ci è stata tramandata dall'Epoca Apostolica, rappresenta una tradizione che è organica, la nostra vita nella Chiesa è organica: viviamo le stesse Realtà, la stessa vita nella Chiesa, che sempre furono vissute, da quando Nostro Signore esercitò il suo ministero pubblico e instaurò l'Eucaristia nell'Ultima Cena. Per questo capiamo come la Chiesa abbia potuto avere, per circa 1500 anni o più, una determinata forma nella quale celebrare l'Eucaristia. Poi, dopo il Concilio Vaticano II, ci fu la così detta riforma der rito della Messa.
Però credo che dobbiamo essere molto onesti e dire che tale riforma, così come fu condotta, non fu fedele a ciò che gli stessi padri conciliari affermarono nel loro documento.
In altre parole ci fu quella che Papa Bendetto ha chiamato “ermeneutica della discontinuità”. L'unica strada per una riforma, nella Chiesa, consiste nella continuità, precisamente nella stima della Tradizione e in una grande fedeltà ad essa. Invece avemmo questo movimento che credette di dover abbandonare il Rito così come ci era giunto fino al tempo del Concilio e di doverne elaborare uno nuovo, che non ha alcuna relazione con la forma della Messa usata in precedenza. Questo non può essere davvero!
Mi ricordo di un relatore, quando ero Arcivescovo di St. Louis, un esperto di liturgia. Dopo la sua lezione un giovane sacerdote disse che cercava di insegnare ai fedeli il gregoriano e alcuni dei vecchi gesti. Il relatore chiese: “Perché lo fate?” Il sacerdote rispose che voleva provare ad aiutare i fedeli a vedere la continuità fra la vecchia e la nuova forma del Rito Romano. Allora il sacerdote relatore iniziò a urlare: “Non c'è alcuna relazione, non c'è alcuna continuità fra le due!” Ovviamente mi arrabbiai parecchio e alla fine lo chiamai a rapporto.
Credo che questo [episodio] rifletta una ben preciso atteggiamento che Papa Benedetto descrisse alla Curia Romana nel discorso di Natale del 2005. Ritengo che adesso dobbiamo guardare alla forma straordinaria del Rito Romano con grande amore e considerazione e cercare di capire come quella ordinaria le possa stare in un rapporto di continuità. A mio parere ciò renderà necessaria una “riforma della riforma”, come è già stato notato.
Per adesso però è essenziale che entrambe le forme siano celebrate liberamente, per non perdere il contatto vivo con quella straordinaria. Sono molto grato a Papa Benedetto e lo ammiro per questo dono di una celebrazione allargata a entrambe le forme. Infine vorrei sottolineare che l'espressione “straordinaria” viene intesa da alcuni in senso sbagliato. Si veicola l'impressione che questa forma debba essere [considerata] insolita o rara, sebbene significhi che essa è consueta e normale.

In che cosa constiste secondo voi il significato più importante della forma extraordinaria?

Essa rappresenta il contatto più vivo col rito della Messa che dalla Chiesa delle origini è giunto fino a noi. Possiamo fantasticare quanto vogliamo su come la Chiesa celebrasse la Santa Messa nei primi secoli, ma questa è la forma viva del rito della Messa e non deve andare perduta. La dobbiamo coltivare ed onorare, come disse Papa Benedetto.

Cosa rispondereste a coloro i quali aaccusano di infedeltà al Concilio Vaticano II, l'essere legati alla forma extraordinaria?

Questa affermazione non sta in piedi, già solo perché, se dicessimo che la Messa Tradizionale non è fedele al Vaticano II, allora affermeremmo in qualche modo che l'ultimo Concilio sia stato infedele alla Tradizione. Ciò non può essere.
Ho studiato la Sacrosanctum Concilium e non ritengo di averci trovato il permesso di mutilare il Rito fino a questo punto o di compiere con esso esperimenti. La debolezza di tale Costituzione conciliare risiede, secondo me, in questo: che per esempio vengono compiute affermazioni molto forti, circa l'uso del latino e del canto gregoriano e poi viene un terzo o quarto punto, dove si dice: “però possono essere introdotte altre lingue e [altri tipi di] musica”. Dopo il Concilio questo terzo punto divenne la regola, mentre doveva rappresentare una specie di eccezione.

Quali sfide vedete oggi per la Chiesa e le familie cristiane?

Credo che consistano soprattutto nell'educazione: nell'educazione cattolica e nella catechesi. In secondo luogo la sacra Liturgia deve essere posta nuovamente al centro della vita cristiana.
Inoltre la sacra Liturgia deve diventare per davvero la lex orandi, che è la lex credendi. Se si affronteranno queste due grandi sfide, allora sia le famiglie che i singoli saranno preparati a contrastare la terribile secolarizzazione nella cultura attorno a noi.
Il mondo non fu mai così confuso e autodistruttivo come oggi. Esso ha bisogno più che mai di una Chiesa salda nell'insegnare la Fede e salda nella sua vita liturgica.

Come incoraggereste oggigiorno i giovani seminaristi e anche i sacerdoti?

Secondo me l'incoraggiamento deve provenire, prima di ogni altra cosa, dalla loro propria relazione personale con Nostro Signore Gesù Cristo, che li ha attirati al sacerdozio. Devono comprendere che se il Signore li chiama, allora li accompagnerà lungo il loro cammino di risposta alla Vocazione e si prenderà cura di essi.
Non devono lasciare alcun spazio allo scoraggiamento, altrimenti non potranno rispondere alla Chiamata di Nostro Signore. Capisco che ciò sia difficile. Però insisto sempre su tre cose, per rafforzare i seminaristi nella speranza: studiate il Catechismo, la bellezza della Fede; fate della sacra Liturgia il centro della vostra vita e, terzo, stabilite un rapporto fraterno con altri giovani uomini che condividono lo stesso sentimento per la Chiamata di Cristo nella loro vita. Il grosso problema di oggi è che coloro i quali provano a condurre una vita autenticamente cattolica o vogliono seguire la Vocazione, sono isolati. Avere uno rapporto di scambio ci aiuta a rimanere saldi, anche se veniamo irrisi.

Ringraziamo Sua Eminenza per questa intervista.

mercoledì 28 settembre 2016

Carlo Acutis: Un S. Luigi Gonzaga dei nostri giorni

La fama di questo giovane ha raggiunto anche la Germania: P. Huber ha distribuito dei depliant su Carlo con l'ultimo numero del giornalino parrocchiale.

È un grande esempio di vita cristiana: spero che i genitori che leggeranno gli raccomandino i proprii figli.

Qui trovate un articolo su di lui.


mercoledì 14 settembre 2016

Otto Settembre: Natività della SS. Vergine e articolo su La Nazione

La Nazione ha dedicato due pagine alla nostra vicenda in cronaca di Empoli, venerdì 8 settembre. Eccole:

L'articolo sulla nostra vicenda deve essere apparso un po' sbilanciato in senso "conservatore" (vista la materia del contendere), per cui in redazione hanno pensato bene di "compensare" con un'intervista di stampo "progressista", per quanto, curiosamente ma non troppo, in ambito ecclesiale oggigiorno siano i "progressisti" i veri conservatori dello staus quo.

Nulla da eccepire, peccato però per le solite inesattezze, che ci vuole il permesso del vescovo, che "non decide solo una parrocchia", ecc.

Ma in dieci anni, i nostri parroci non hanno ancora trovato il tempo di leggerlo, il Summorum Pontificum?

Beh, speriamo che la data di pubblicazione sia un buon segno!

 


sabato 30 luglio 2016

Il sangue dei martiri e' seme di nuovi cristiani - AVVISO DI PREGHIERA

Cari lettori,

un grande raccolto è possibile!

offrite per favore fervide preghiere da oggi fino a tutta la veniente domenica perche lo Spirito Santo illumini fortemente le anime di quei musulmani che domani parteciperanno alla S. Messa.

Voglia il Signore che molti si convertano alla Santa Religione Cattolica,

l'unica Vera, l'unica Santa, l'unica in grado di schiudere a noi peccatori le
porte del Paradiso.

Siccome però il diavolo ci metterà del suo per far fallire l'intento, preghiamo
pure per i sacerdoti, che siano ispirati nelle loro omelie e celebrino in
maniera attenta e devota.


Soprattutto, che nessuno di essi commetta il sacrilegio di offrire la Santa Eucaristia ai poveri devoti di Maometto!

Caro Monsignor Galantino...

... mi dispiace tanto sai?

MA NON MI AVRETE.


Né tu, né chi ti ha fatto arrivare al posto che ricopri.

La Madonna è arrivata prima di voi.

 

 

venerdì 29 luglio 2016

Non serviam



audace è la preghiera di intercessione di Abramo a favore di Sodoma . Una città sulla quale nessuno avrebbe scommesso niente, eccetto Abramo. La sua preghiera di intercessione e la sua voglia di osare salvano Sodoma. La città è salva perché ci sono i giusti, anche se pochi.”


N O


Sodoma fu ANNIENTATA

sotto una PIOGGIA DI FUOCO E ZOLFO.


Questa qui:


Da allora, al posto della fertile e ricca pianura di Sodoma e Gomorra, c'è il MAR MORTO.


M A R   M O R T O.


Il dialogo di Abramo con Dio rivela che ci sarebbero voluti ALMENO 10 giusti per salvare quelle città. Ma siccome non si trovarono, Dio mandò degli angeli a togliere da lì Lot e la sua famiglia,

AFFINCHÉ LA SUA IRA CADESSE SOLO SU CHI SE LA MERITAVA:
 I SODOMITI IMPENITENTI.

Ai quali S.E.R. Mons. Giuseppe Galantino rischia di far compagnia all'inferno, visto che CAMBIA LA PAROLA DI DIO e NASCONDE ai quei peccatori LA VERITÀ che sola li può salvare.


S.E.R. Mons. Galantino è un superbo manifesto:


PIEGA DIO alla propria coscienza,

perCHÉ non vUOLE piegare la propria

 coscienza a DIO.


Il semplice fedele NON È TENUTO ALL'OBBEDIENZA di fronte a lui e a pastori come lui.

Di fronte a Gesù saremo soli CON LA NOSTRA COSCIENZA. L'aveva detto il parroco/vescovo/papa” non sarà una scusa valida, di fronte al tribunale divino.


Santa Madre,

proteggici dai lupi in veste di agnelli, pastori infedeli del gregge di tuo Figlio.

Ma soprattutto

proteggi i sacerdoti fedeli 

dai loro confratelli sedotti dal demonio.




mercoledì 27 luglio 2016

Soldato di Cristo

Ripubblico dal giornale della Folgore. Speriamo che ci siano ancora tanti cattolici fra i nostri soldati: ce ne sarà bisogno, quando i russi ci invaderanno.

Emblematica la chiusura.

Concludo in questi giorni 8 anni e mezzo di comando interforze, iniziati quando nel 2004 mi venne concesso il privilegio di essere il primo Comandante del COFS, uno strumento che ci rende oggi titolari di nuove capacità che sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliano guardare.
Ma oggi è del COI e a voi del COI che voglio parlare e degli intensi 4 anni e mezzo che con voi vi ho trascorso.

Penso alle mille pianificazioni sull’Afghanistan, una terra nella quale l’Italia non è un dettaglio grazie al prolungato impiego delle nostre unità al fianco del Governo afghano, impegnato in una dura guerra contro un nemico non ancora sconfitto ed anzi oggi presente, sotto altre forme, fino in Nord Africa e nel Vicino Oriente, dove continuiamo a svolgere (in Libano, Irak e Kuwait) attività fondamentali per i nostri interessi e la nostra dignità nazionale.
Penso alle missioni negli angoli più delicati del nostro spicchio di mondo, come nella RCA, nel Mali, a Gibuti e nell’indimenticabile e sfortunatissima Somalia, un Paese che continua a guardare con grande fiducia all’Italia. Evidentemente l’Italia che era laggiù fino alla prima metà del secolo scorso ha lasciato un ricordo tutt’altro che negativo.
Penso alla perdurante attività di nostre unità in aree critiche come i Balcani, resi instabili da una parcellizzazione che li espone ora a minacce difficili come quella dei foreign fighters e penose come quella della migrazione dalla penisola anatolica; e a proposito di migrazione penso allo sforzo prodotto per l’operazione EUNAVFOR MED alla quale il COI assicura le risorse umane ed info-infrastrutturali fondamentali della componente di Comando e controllo a livello strategico.
Non posso dimenticare, inoltre, gli eventi drammatici che in quei contesti hanno portato alla morte o al ferimento di molti nostri soldati (e per rimanere tra i soldati, permettetemi di ricordare il Gen.Calligaris caduto mentre addestrava giovani piloti a compiere quello che viene spesso loro richiesto in operazioni).

Abbiamo percorso molta strada insieme, pianificando e ripianificando, organizzando e riorganizzando, dando ordini e contrordini, cercando sempre di smarcarci dal ruolo di meri produttori di carte scritte e sforzandoci di fare il meglio e il giusto per le nostre unità in operazioni.
Abbiamo inoltre trasformato radicalmente il COI per adeguarlo al nuovo ritmo operativo e siamo certi che, per quanto non compiutamente percepita dall’esterno, questa trasformazione consegni all’Italia uno strumento di Comando e Controllo interforze vero, qualcosa di molto diverso da una pur importante appendice dello SMD, periferica ed inesauribile produttrice di schede ed appunti. Voi sapete di cosa sto parlando!
Consapevole dei miei personali limiti, vi confesso di essere spesso rimasto ammirato dalla vostra tempra di ottimi incassatori e da quello che sapete fare. Siete veramente bravi!
Ma il COI è uno strumento sul quale si deve investire ancora se si vuol governare un futuro che sarà sempre più complesso, come emerge chiaramente dalle cronache tragiche che ci travolgono quotidianamente dagli schermi dei nostri televisori.
Sarà, infatti, un futuro nel quale la storia sarà tornata in movimento e che non ci vedrà semplicemente minacciati da qualche organizzazione malavitosa, una di quelle che piacciono così tanto al nostro pubblico, evidentemente convinto da qualche bugiardo che non ci vuole bene, in Italia e all’estero, che si tratta di una nostra caratteristica sociale, genetica, da sbandierare con masochistica fierezza, come i moncherini del mendicante, e da fronteggiare semplicemente con qualche altro tomo di buone leggi e con una adeguata disponibilità di tutori delle stesse; e da celebrare con una bella fiction e con qualche succoso approfondimento da talk show.
Al contrario, si affaccia un’epoca nella quale dovremo tornare a guardare il mondo che rotola fuori dai confini di casa nostra con meno spocchia e maggiore rispetto, chiedendoci seriamente quale ruolo possiamo e dobbiamo avere là fuori.
Chissà che questo tuffo nella vera realtà non contribuisca a dare vigore alla nostra autostima, restituendo onore a quella forma di libertà, la sovranità nazionale, che è la ragione vera del nostro giuramento e della quale i Soldati sono da sempre i sommi sacerdoti. Chi li ignora, li disprezza o li combatte non lo fa a caso: sa benissimo a cosa fanno scudo!
Per questo, voglio esprimere tutta la mia sincera ammirazione ai giovani che hanno scelto la nostra impegnativa strada, perché so che a loro toccheranno prove che a quelli della mia generazione sono state risparmiate; …e questo, inoltre, senza poter neppure lucrare quell’affetto che una fetta della nostra società molto ben rappresentata ai piani alti parrebbe riservare solo agli illuminati sbriciolatori di Madonnine, agli indignados anti-tutto, ai non-violenti pestatori di poliziotti e ai mai sazi inventori di nuovi incredibili diritti.
Per quel che vi riguarda, marcate la differenza! Abbracciate ancor più forte i vostri doveri e lasciateglielo pure il loro affetto!
Ma oggi concludo anche il mio servizio attivo, e quindi spero che mi perdonerete se azzardo un brevissimo bilancio personale.
L’Italia alla quale volevo dedicare i miei entusiasmi, all’ingresso in Accademia 44 anni fa, era ormai diventata moderna, democratica, non violenta, moderata e solidale (ora è anche vegana).
Innamorata del presente, in trepida attesa del futuro e dimentica del passato, a farsi difendere non ci pensava proprio, visto che le avevano detto che era iniziata un’epoca di peace and love forever grazie a qualche tratto di autorevole penna che relegava le Forze Armate al ruolo di fastidiosa ed inutile necessità, resa obbligatoria solo dalla logica delle alleanze.
Ciononostante, non mi fu troppo difficile conferire un senso profondo alla mia vita di giovane soldato di mestiere investendomi almeno dell’ingenuo compito di affermare e difendere un’orgogliosa diversità rispetto al resto del mondo. Era una diversità di lingua, la più bella, di arte, la più luminosa, di religione, la più vera, di storia, la più nobile, e di famiglia, la più sana, solida e prolifica.
Temo che da allora sia cambiato qualcosa.
In ragione di questa autoinvestitura, in ogni caso, sono sempre stato più che appagato della mia scelta di vita. Grazie al mio “lavoro”, infatti, non ho mai avuto difficoltà ad individuare robuste tracce di quella che doveva essere la vecchia educazione, anche la vecchia grandezza, nel comportamento sobrio, umano, disciplinato e coraggioso dei nostri soldati, benché spesso occultato dietro un velo di troppi appellativi ed acronimi stranieri, di troppe gestualità e sonorità rock, pop, rap, di troppi berrettini e civetterie da contractor. Insomma, resto convinto che sotto una fastidiosa patina di provinciale esterofilia continuino in essi a pulsare i soldati italiani di sempre, espressione virile di un paese che può, solo grazie a loro, considerarsi Patria.
Non è quindi per un rituale artifizio retorico da praticare almeno una volta in occasioni come questa, che concludo dicendomi in debito con le Forze Armate, capaci di riempire la mia vita come nessun’altra istituzione avrebbe potuto fare.
L’hanno riempita, fin dal mio lontano tenentato al Col Moschin, iniziandomi alla ricerca ostinata – spesso coronata da successo – di modi sempre più innovativi ed entusiasmanti per rompermi l’osso del collo, in buona compagnia ovviamente.
L’hanno riempita facendomi essere della Folgore, una magnifica realtá costantemente impegnata per l’Italia e impregnata di Italia che, proprio per questo, può da sempre vantare il sordo rancore di chi, nel nostro paese, non potrà mai smettere di odiare quello che essa rappresenta. E’ anche storia di questi giorni.
L’hanno riempita, infine, lasciandomi coltivare un ostinato orgoglio di soldato italiano, italiano tutt’altro che pentito, quando correttezza politica non avrebbe potuto tollerare altro che l’invidiuzza rassegnata di un moderno ed evoluto marmittoncello da discoteca, entusiasta della sua ovvia e globalizzata subordinazione ai nazionalismi altrui.
Concludo il mio servizio attivo, quindi, ma non il Bonum Certamen al quale sono stato avviato dai miei genitori e dai racconti di mio padre, maestro elementare e soprattutto orgoglioso folgorino in AS e “non collaboratore” a lungo ingabbiato al “305”, il durissimo campo di concentramento inglese in Egitto.
Orfano di guerra della 1^GM, all’atto del secondo conflitto mondiale si era arruolato volontario, sull’esempio del padre contadino di Quattro Castella che vent’anni prima, con 4 figli all’attivo e 1, lui, in arrivo, non si era sottratto al richiamo che l’avrebbe portato alla morte.
Che forza seduttiva aveva l’Italia su quelle anime semplici! Riflettiamo, quando siamo tentati di vituperarla a causa della sua spesso disarmante rappresentazione odierna.
Ringrazio quei miei Comandanti che, con la forza del loro esempio e dei loro cazziatoni, mi hanno fatto andare quando volevo stare e stare quando volevo andare: hanno avuto ragione. Soprattutto, ringrazio i paracadutisti, gli arditi, i soldati di tutte le Forze Armate che hanno dato gambe alla marcia della mia vita.
All’Amm.Cavo Dragone, nei cui confronti comincio a nutrire sentimenti di amichevole e sincera invidia nel saperlo meritevole destinatario da oggi dello stesso orgoglio che fino a poche ore fa sentivo mio, auguro ogni fortuna, nella certezza che il suo periodo alla vostra testa sarà “grande”.
Infine, ringrazio la mia famiglia e soprattutto la mia metà, mia moglie Caterina, per il supporto, spesso rassegnato, che mi ha assicurato in questi decenni. Sta a me, da adesso, fare in modo che l’estraneo che nei giorni a venire sorprenderete a notte fonda in pigiama intento a saccheggiarvi il frigorifero sappia meritare qualcosa di più della vostra imbarazzata sopportazione.