Ripubblico dal giornale della Folgore. Speriamo che ci siano ancora tanti cattolici fra i nostri soldati: ce ne sarà bisogno, quando i russi ci invaderanno.
Emblematica la chiusura.
Concludo in questi giorni 8 anni e mezzo di comando interforze,
iniziati quando nel 2004 mi venne concesso il privilegio di essere il
primo Comandante del COFS, uno strumento che ci rende oggi titolari di
nuove capacità che sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliano
guardare.
Ma oggi è del COI e a voi del COI che voglio parlare e degli intensi 4 anni e mezzo che con voi vi ho trascorso.
Penso alle mille pianificazioni sull’Afghanistan, una terra nella
quale l’Italia non è un dettaglio grazie al prolungato impiego delle
nostre unità al fianco del Governo afghano, impegnato in una dura guerra
contro un nemico non ancora sconfitto ed anzi oggi presente, sotto
altre forme, fino in Nord Africa e nel Vicino Oriente, dove continuiamo a
svolgere (in Libano, Irak e Kuwait) attività fondamentali per i nostri
interessi e la nostra dignità nazionale.
Penso alle missioni negli angoli più delicati del nostro spicchio di
mondo, come nella RCA, nel Mali, a Gibuti e nell’indimenticabile e
sfortunatissima Somalia, un Paese che continua a guardare con grande
fiducia all’Italia. Evidentemente l’Italia che era laggiù fino alla
prima metà del secolo scorso ha lasciato un ricordo tutt’altro che
negativo.
Penso alla perdurante attività di nostre unità in aree critiche come i
Balcani, resi instabili da una parcellizzazione che li espone ora a
minacce difficili come quella dei foreign fighters e penose come quella
della migrazione dalla penisola anatolica; e a proposito di migrazione
penso allo sforzo prodotto per l’operazione EUNAVFOR MED alla quale il
COI assicura le risorse umane ed info-infrastrutturali fondamentali
della componente di Comando e controllo a livello strategico.
Non posso dimenticare, inoltre, gli eventi drammatici che in
quei contesti hanno portato alla morte o al ferimento di molti nostri
soldati (e per rimanere tra i soldati, permettetemi di ricordare il
Gen.Calligaris caduto mentre addestrava giovani piloti a compiere quello
che viene spesso loro richiesto in operazioni).
Abbiamo percorso molta strada insieme, pianificando e ripianificando,
organizzando e riorganizzando, dando ordini e contrordini, cercando
sempre di smarcarci dal ruolo di meri produttori di carte scritte e
sforzandoci di fare il meglio e il giusto per le nostre unità in
operazioni.
Abbiamo inoltre trasformato radicalmente il COI per adeguarlo al nuovo
ritmo operativo e siamo certi che, per quanto non compiutamente
percepita dall’esterno, questa trasformazione consegni all’Italia uno
strumento di Comando e Controllo interforze vero, qualcosa di molto
diverso da una pur importante appendice dello SMD, periferica ed
inesauribile produttrice di schede ed appunti. Voi sapete di cosa sto
parlando!
Consapevole dei miei personali limiti, vi confesso di essere
spesso rimasto ammirato dalla vostra tempra di ottimi incassatori e da
quello che sapete fare. Siete veramente bravi!
Ma il COI è uno strumento sul quale si deve investire ancora se si
vuol governare un futuro che sarà sempre più complesso, come emerge
chiaramente dalle cronache tragiche che ci travolgono quotidianamente
dagli schermi dei nostri televisori.
Sarà, infatti, un futuro nel quale la storia sarà tornata in movimento e
che non ci vedrà semplicemente minacciati da qualche organizzazione
malavitosa, una di quelle che piacciono così tanto al nostro pubblico,
evidentemente convinto da qualche bugiardo che non ci vuole bene, in
Italia e all’estero, che si tratta di una nostra caratteristica sociale,
genetica, da sbandierare con masochistica fierezza, come i moncherini
del mendicante, e da fronteggiare semplicemente con qualche altro tomo
di buone leggi e con una adeguata disponibilità di tutori delle stesse; e
da celebrare con una bella fiction e con qualche succoso
approfondimento da talk show.
Al contrario, si affaccia un’epoca nella quale dovremo tornare a
guardare il mondo che rotola fuori dai confini di casa nostra con meno
spocchia e maggiore rispetto, chiedendoci seriamente quale ruolo
possiamo e dobbiamo avere là fuori.
Chissà che questo tuffo nella vera realtà non contribuisca a dare vigore
alla nostra autostima, restituendo onore a quella forma di libertà, la
sovranità nazionale, che è la ragione vera del nostro giuramento e della
quale i Soldati sono da sempre i sommi sacerdoti. Chi li ignora, li
disprezza o li combatte non lo fa a caso: sa benissimo a cosa fanno
scudo!
Per questo, voglio esprimere tutta la mia sincera ammirazione ai giovani
che hanno scelto la nostra impegnativa strada, perché so che a loro
toccheranno prove che a quelli della mia generazione sono state
risparmiate; …e questo, inoltre, senza poter neppure lucrare
quell’affetto che una fetta della nostra società molto ben rappresentata
ai piani alti parrebbe riservare solo agli illuminati sbriciolatori di
Madonnine, agli indignados anti-tutto, ai non-violenti pestatori di
poliziotti e ai mai sazi inventori di nuovi incredibili diritti.
Per quel che vi riguarda, marcate la differenza! Abbracciate ancor più
forte i vostri doveri e lasciateglielo pure il loro affetto!
Ma oggi concludo anche il mio servizio attivo, e quindi spero che mi perdonerete se azzardo un brevissimo bilancio personale.
L’Italia alla quale volevo dedicare i miei entusiasmi, all’ingresso in
Accademia 44 anni fa, era ormai diventata moderna, democratica, non
violenta, moderata e solidale (ora è anche vegana).
Innamorata del presente, in trepida attesa del futuro e dimentica del
passato, a farsi difendere non ci pensava proprio, visto che le avevano
detto che era iniziata un’epoca di peace and love forever grazie a
qualche tratto di autorevole penna che relegava le Forze Armate al ruolo
di fastidiosa ed inutile necessità, resa obbligatoria solo dalla logica
delle alleanze.
Ciononostante, non mi fu troppo difficile conferire un senso profondo
alla mia vita di giovane soldato di mestiere investendomi almeno
dell’ingenuo compito di affermare e difendere un’orgogliosa diversità
rispetto al resto del mondo. Era una diversità di lingua, la più bella,
di arte, la più luminosa, di religione, la più vera, di storia, la più
nobile, e di famiglia, la più sana, solida e prolifica.
Temo che da allora sia cambiato qualcosa.
In ragione di questa autoinvestitura, in ogni caso, sono sempre stato
più che appagato della mia scelta di vita. Grazie al mio “lavoro”,
infatti, non ho mai avuto difficoltà ad individuare robuste tracce di
quella che doveva essere la vecchia educazione, anche la vecchia
grandezza, nel comportamento sobrio, umano, disciplinato e coraggioso
dei nostri soldati, benché spesso occultato dietro un velo di troppi
appellativi ed acronimi stranieri, di troppe gestualità e sonorità rock,
pop, rap, di troppi berrettini e civetterie da contractor. Insomma,
resto convinto che sotto una fastidiosa patina di provinciale
esterofilia continuino in essi a pulsare i soldati italiani di sempre,
espressione virile di un paese che può, solo grazie a loro, considerarsi
Patria.
Non è quindi per un rituale artifizio retorico da praticare almeno una
volta in occasioni come questa, che concludo dicendomi in debito con le
Forze Armate, capaci di riempire la mia vita come nessun’altra
istituzione avrebbe potuto fare.
L’hanno riempita, fin dal mio lontano tenentato al Col Moschin,
iniziandomi alla ricerca ostinata – spesso coronata da successo – di
modi sempre più innovativi ed entusiasmanti per rompermi l’osso del
collo, in buona compagnia ovviamente.
L’hanno riempita facendomi essere della Folgore, una magnifica realtá
costantemente impegnata per l’Italia e impregnata di Italia che,
proprio per questo, può da sempre vantare il sordo rancore di chi, nel
nostro paese, non potrà mai smettere di odiare quello che essa
rappresenta. E’ anche storia di questi giorni.
L’hanno riempita, infine, lasciandomi coltivare un ostinato orgoglio
di soldato italiano, italiano tutt’altro che pentito, quando correttezza
politica non avrebbe potuto tollerare altro che l’invidiuzza rassegnata
di un moderno ed evoluto marmittoncello da discoteca, entusiasta della
sua ovvia e globalizzata subordinazione ai nazionalismi altrui.
Concludo il mio servizio attivo, quindi, ma non il Bonum
Certamen al quale sono stato avviato dai miei genitori e dai racconti di
mio padre, maestro elementare e soprattutto orgoglioso folgorino in AS e
“non collaboratore” a lungo ingabbiato al “305”, il durissimo campo di
concentramento inglese in Egitto.
Orfano di guerra della 1^GM, all’atto del secondo conflitto mondiale si
era arruolato volontario, sull’esempio del padre contadino di Quattro
Castella che vent’anni prima, con 4 figli all’attivo e 1, lui, in
arrivo, non si era sottratto al richiamo che l’avrebbe portato alla
morte.
Che forza seduttiva aveva l’Italia su quelle anime semplici!
Riflettiamo, quando siamo tentati di vituperarla a causa della sua
spesso disarmante rappresentazione odierna.
Ringrazio quei miei Comandanti che, con la forza del loro esempio e dei
loro cazziatoni, mi hanno fatto andare quando volevo stare e stare
quando volevo andare: hanno avuto ragione. Soprattutto, ringrazio i
paracadutisti, gli arditi, i soldati di tutte le Forze Armate che hanno
dato gambe alla marcia della mia vita.
All’Amm.Cavo Dragone, nei cui confronti comincio a nutrire sentimenti di
amichevole e sincera invidia nel saperlo meritevole destinatario da
oggi dello stesso orgoglio che fino a poche ore fa sentivo mio, auguro
ogni fortuna, nella certezza che il suo periodo alla vostra testa sarà
“grande”.
Infine, ringrazio la mia famiglia e soprattutto la mia metà, mia moglie
Caterina, per il supporto, spesso rassegnato, che mi ha assicurato in
questi decenni. Sta a me, da adesso, fare in modo che l’estraneo che nei
giorni a venire sorprenderete a notte fonda in pigiama intento a
saccheggiarvi il frigorifero sappia meritare qualcosa di più della
vostra imbarazzata sopportazione.
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